Shot the Sheriff

Movimento civico

Un po’ di storia

UN PO’ DI STORIA

 

Da 30 anni la città di Salerno è proprietà privata da un solo uomo. Un feudo occupato “manu militari” nel 1993, poco dopo le dimissioni di Vincenzo Giordano causa Tangentopoli. Il sindaco Vincenzo Giordano, socialista della prima ora, fu raggiunto da alcuni avvisi di garanzia e costretto a lasciare per imputazioni varie, tutte infondate. Subito ne approfittò un tizio dell’alta Irpinia, che a via Manzo era entrato col compito di inviare fax: Vincenzo De Luca.

 

Il primo “raggiro politico” di De Luca fu quello di candidarsi alle elezioni con una lista civica mentre in tasca aveva la tessera del PDS, ex PCI, oggi PD. Tessera che non ha mai strappato non ostante sputi con regolarità e pubblicamente nel piatto del partito dove mangia da quando è nato.

Nessun candidato sembrava degno di nota, tutti appartenenti a schieramenti politici travolti dal ciclone tangentopoli. Tutti tranne uno: Giuseppe Acocella. Professore universitario, stimato da molti, Acocella si fece ingenuamente coinvolgere in un "trappolone" e presentò la sua lista, "Salerno Progresso", che raccolse numerosi consensi proprio per la sua estraneità al mondo della politica e la sua radice reale di una Salerno "pulita", quella borghesia fatta di medici, avvocati, ingegneri, docenti universitari, funzionari di banca.

 

De Luca e l’outsider Acocella finirono al ballottaggio, con quest'ultimo addirittura dato per vincente. Ma qualcuno gli tirò un brutto scherzo, perché la "vecchia politica" aveva bisogno di continuità, non di persone per bene. Nel comizio che precedette il ballottaggio del 5 dicembre 1993, tenutosi al Capitol, in prima fila si sedettero tutti i baroni della DC salernitana e campana, da Gaspare Russo a Ciriaco De Mita, e l'effetto fu disastroso. Il messaggio che venne fuori dall'ex cinema Capitol quella mattina di dicembre, facendo il velocissimo giro di tutta la città, fu che il professor Acocella era in assoluta continuità con la “DC di tangentopoli”. E alle urne i salernitani gli voltarono le spalle, regalando lo scranno di primo cittadino al comunista Vincenzo De Luca, il cui partito non era stato ancora sputtanato da Primo Greganti.

 

L’incazzatura e la delusione del prof. Acocella furono così cocenti e dolorose che si dimise da capo dell’opposizione prima ancora di entrare al comune di Salerno, senza mai mettervi piede, proseguendo invece la sua carriera universitaria, giunta fino ai vertici del rettorato.

Da quella famosa mattina all’ex cinema Capitol, purtroppo, sappiamo tutto.

 

Sono trascorsi trent’anni e Vincenzo De Luca non ha mai più lasciato la poltrona. Ha fatto due mandati (10 anni), poi ha piazzato la sua testa di legno Mario De Biase, artatamente fatto cadere prima del tempo e poi scomparso dai radar, riproponendosi per ulteriori due mandati, quindi altri 10 anni.

Dopo vent’anni da sindaco, punta alla regione Campania ma piazza un’altra testa di legno al suo posto: Vincenzo Napoli. Un sindaco fantasma, pavido, che non osa muovere foglia senza prima telefonare al suo capo, seduto a palazzo S. Lucia. È un segreto di pulcinella, lo sanno tutti; al punto che le inaugurazioni e i tagli dei nastri che contano li viene a fare De Luca, con il facente fantasma alle spalle, semplice cameo.

 

La nascita di questo movimento civico (Shot the Sheriff) ha una funzione ben precisa: liberare la città dalla cappa mefitica incarnata da questa ingombrante figura, volgare, dispotica, che tramanda il potere ai figli come nella migliore tradizione feudale mentre trucca le carte per candidarsi al terzo mandato illegittimo.

Siamo oltre la decenza democratica.

E poiché la democrazia è un’aspirazione, noi aspiriamo alla democrazia abbattendo il regime dispotico-familista di Vincenzo De Luca.

 

Dopo trent’anni anni sprecati, in una città che sarebbe potuta diventare patrimonio mondiale Unesco e che invece deve accontentarsi di uro-turisti, smog, traffico, zero cultura, commercio finito e giovani che scappano via, la nostra ambizione è raggruppare intorno a un progetto serio e fattibile i cittadini di buona volontà che sono stanchi di sentire la voce del padrone.

Perché vi sono uomini, come De Luca, che regnano invece di governare.

Il loro potere non si misura nelle leggi che applica o nelle politiche che adotta ma nella rete invisibile di legami e dipendenze che trama intorno a sé, nell’amministrare un’intera comunità con il favoritismo.

Non è difficile capire perché tanti lo votano ancora oggi, anche di fronte a indagini, accuse, condanne e prepotenze di ogni tipo. Il suo consenso non si è mai basato sulla fiducia nella legalità o nell’efficienza della gestione ma su qualcosa di più viscerale: la certezza che chi riusciva ad appartenere al suo cerchio avrebbe trovato un appiglio, una soluzione, un’opportunità.

In una terra dove il lavoro è un’illusione, dove le possibilità di crescita sono limitate, il politico-clientelare non è percepito come un problema ma come necessità.

 

Chi oggi lo difende e continua a votarlo lo fa perché ha paura di perdere quel poco che ha. Perché in un sistema dove tutto si ottiene tramite conoscenze e segnalazioni, perdere il proprio riferimento significa ritrovarsi soli, senza più scorciatoie.

Vincenzo De Luca per molti non è stato solo un sindaco ma la garanzia che qualcosa, in qualche modo, sarebbe arrivata. Poco importa se a scapito di altri più meritevoli, poco importa se tutto questo ha generato disuguaglianze e ingiustizie.

Quando la politica diventa l’unico strumento per sopravvivere, chi la controlla diventa più potente di qualsiasi legge.

 

Ma c'è anche il rovescio della medaglia.,

Chi in questi trent'anni ha vissuto aggrappato ai suoi favori, scavalcando la fila, agevolando la pratica, chiudendo tutti e due gli occhi, si ritrova più fragile che mai. Quando il sistema crolla, perché tutto prima o poi crolla, chi ha costruito la propria esistenza leccandogli parossisticamente il culo rimane senza nulla. Al contrario, il suo padrino trova sempre un'ancora di salvezza, una nomina da qualche altra parte, un gettone da due-tremila euro al mese, per sé e per i suoi figli, mica per i nostri figli.

 

Continuare a votare Vincenzo De Luca non significa votare un uomo ma una mentalità: prevaricante, prepotente, che se ne fotte degli altri e del bene comune se non fai parte della sua chiesa.

È la logica di una politica degradata che confonde libertà con fedeltà, gratitudine con sottomissione.

Ammettere che il modello De Luca è sbagliato significa riconoscere di averne fatto parte, anche solo con il silenzio; significa accettare che quel tipo di potere non ha mai distribuito benessere ma solo briciole di consenso per mantenere il dominio.

 

Quando non ci sono opportunità reali, quando il merito non porta a nulla, quando lo studio e l’impegno non aprono porte, quando i nostri figli devono emigrare alla ricerca di un lavoro dignitoso, è in quel preciso momento che il clientelismo diventa la regola.

È un circolo vizioso: meno sviluppo significa più dipendenza dal potere locale, più dipendenza significa meno richiesta di trasparenza, meno trasparenza significa più spazio per chi usa la politica per rafforzare sé stesso.

Così anche di fronte a un regime che ha arricchito pochi amici togliendo il sangue e futuro alla comunità, resta la solita frase imbecille: "almeno qualcosa ha fatto".

È la tragedia di un popolo che per disperazione si lega al proprio carnefice, che confonde protezione con oppressione, che scambia il favore per un diritto.

Ma la verità non aspetta di essere accolta. Arriva, esplode, travolge.

 

Shotthesferiff è aperto a tutti coloro che si ritrovano in queste poche righe.

 

Unitevi, uniamoci.

 

Solo così possiamo tentare di smaltire la munnezza da cui siamo circondati.

Shot the Sheriff

Per una città migliore